Smart Working: nuova filosofia manageriale
La crisi sanitaria abbattutasi con violenza e con la sua inarrestabile carica virulenta sul territorio nazionale sta mettendo a dura prova l’economia nazionale e globale. In uno scenario di significativo rallentamento e/o chiusura della produzione industriale e del mercato dell’import ed export, causate dall’allarme pandemia Coronavirus Covid -19, le PMI (compreso i liberi professionisti) stanno apprendendo, con largo ritardo sulla tabella di marcia, che il processo di digitalizzazione dei processi produttivi (es. smart working) non può essere più rimandato e rappresenterà la chiave necessaria per affrontare le nuove sfide che dovremo affrontare nel prossimo futuro. Chi tarderà rimarrà al punto di partenza!
INDICE
1 INNO ALLA TECNOLOGIA
2. NUOVA FILOSOFIA MANAGERIALE: SMART WORKING
2.1 FLESSIBILITÀ E RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI
2.2. VANTAGGI E CRITICITÀ
3. TRASFORMAZIONE DIGITALE: LAVORI IN CORSO
4. CONCLUSIONI
1. INNO ALLA TECNOLOGIA
In queste ultime settimane, ormai, ci siamo abituati a scandire le nostre giornate fra i cadenzati comunicati provenienti dal Governo, medicina normativa che ci viene gradualmente somministrata per prevenire il contagio da Coronavirus Codiv-19 e rilanciare l’economia nazionale e, le puntuali letture dei bollettini (di guerra) forniti dal Dipartimento di Protezione Civile, verso le 18:00, su vari canali comunicativi digitali.
Le restrizioni della nostra liberà personale giustamente imposta dal Governo, per bloccare il contagio ed evitare il superamento della curva di progressione del virus, oltre i limiti di ragionevole operatività e sostenibilità del SSN, sta facendo scoprire agli italiani l’importanza della tecnologia, non solo nella sfera personale (es. chat di gruppo, videochiamate, videogames etc) ma anche e, specialmente, nell’ambito lavorativo (es. videoconferenze).
L’importanza della tecnologia, specialmente in tempi bui come quelli che stiamo affrontando, sta facendo riscoprire paradossalmente quello spirito di unità nazionale che da tempo latitava nel nostro Bel paese.
Il progresso tecnologico, così tanto temuto e criticato, sta riconnettendo l’intero paese in una sorte di “abbraccio” collettivo, un abbraccio virtuale, se vogliamo. Tuttavia, lasciando da parte i toni trionfali, è opportuno puntualizzare un aspetto importante: l’evoluzione della tecnica, in Italia, non ha mai goduto di buona reputazione e della stima che molti italiani adesso le riconoscono.
L’ingresso della tecnologia, all’interno dei processi produttivi ha da sempre terrorizzato i lavoratori, timore indotto dalla paura di perdere il posto (di lavoro) per essere sostituti dalla macchina.
Così come, l’evoluzione tecnologica ha da sempre suscitato timore e diffidenza da parte di una buona schiera di sociologi e antropologi, spaventati dall’eccessiva esposizione delle nuove generazioni al mezzo informatico. Paure comprensibili, più che comprensibili, ma smentite dall’attualità e dallo stato di necessità determinato dal SARS-Cov-2.
Dato che ci troviamo in un clima pandemico globale, le eventuali “cure” da somministrare ai timori dei lavoratori e diffidenti sono le seguenti:
PER I LAVORATORI
Comprendere che il mondo si sta inesorabilmente aggiornando a nuove procedure, a nuove tecnologie organizzative e nuove filosofie di lavoro. Tali evoluzioni richiedono impegno, dedizione, investimenti in formazione teorica e applicazione pratica. Bisogna costantemente aggiornarsi, curare il proprio bagaglio culturale, senza dover necessariamente attendere che siano sempre gli altri a dover provvedere alle proprie esigenze. Essere aggiornati e consapevoli della realtà circostante costituisce il miglior rimedio contro la staticità e la pigrizia determinata dalla routine quotidiana.
PER I DIFFIDENTI
La tecnologia da sempre è stata accusata di creare emarginazione, attrarre la sfera reale per amalgamarla alla macro sfera virtuale; creare e alimentare il distacco con la realtà con conseguente inaridimento dei rapporti sociali, alimentare il culto dei predicatori di massa virtuale (es. influencer o youtuber), bypassare l’importanza del dibattito e della proteste sociali etc. Trattasi di timori sacrosanti e, nei confronti dei quali, è necessario riporre la giusta attenzione, specialmente nei confronti dei rischi emergenti con la modernità (cyber bullismo e il cyber risk)
Ma allo stesso tempo, è altrettanto importante comprende che la realtà nella quale siamo immersi si è scrollata di dosso, da tempo ormai la polvere del passato. Viviamo in una realtà costantemente interconnessa, nella quale siamo giocoforza attori e non più soltanto spettatori. Soltanto con il processo di trasformazione digitale abbiamo avuto la possibilità di abbattere i muri e i confini della comunicazione, abbiamo fatto passi da gigante nel mondo della MEDICINA e dell’ISTRUZIONE.
Ebbene, per prevenire e curare questi timori è necessario educare le nuove generazioni (e non solo), ad un utilizzo razionale e moderato della tecnologia che fondi le sue radici nel’educazione, rispetto reciproco e solidarietà. È necessario avvicinare le nuove generazioni ad un utilizzo graduale e, non viceversa esponenziale, alle innovazioni tecnologiche (compito difficile e faticoso demandato ai genitori, e non ai professori).
Impedire alle future generazioni l’esposizione al progresso tecnologico è inutile, quanto improduttivo, ma dev’essere fatto con criterio, adottando le giuste precauzioni.
Tirando le somme di quanto affermato, il mio pensiero, come molti di Voi avrà intuito, è proiettato al futuro, ma soprattutto, a quello spirito di ottimismo che ci deve assolutamente accompagnare e contraddistinguere in questi tempi difficili. Il futuro non deve spaventarci, ma deve rappresentare il percorso naturale verso il quale propendere.
Il Novecento aveva già lanciato segnali inequivocabili dello stravolgimento culturale che la tecnologia avrebbe donato alle future generazioni.
Si stavano gradualmente consolidando le basi che hanno permesso alla modernità di imporsi, nella nostra vita quotidiana, con ritmo incessante e inarrestabile:
Se sei interessato ad approfondire il più importante movimento artistico d’avanguardia del XX secolo puoi leggere gli approfondimenti al termine dell’articolo.
Dopo questa lunga digressione, ringrazio anticipatamente tutti coloro che avranno la pazienza di lanciarsi nella lettura di questo articolo.
Buona lettura! 🙂
2. NUOVA FILOSOFIA MANAGERIALE: SMART WORKING
2.1. FLESSIBILITÀ E RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI
Passiamo alla trattazione di una tematica molto dibattuta e frequentemente portata all’attenzione del pubblico nazionale, in queste ultime settimane di reclusione forzata, causa Coronavirus Covid-19.
Stiamo parlando dello smart working.
In questa sede non mi occuperò di elaborare un’analisi incentrata sugli aspetti normativi che regolano il c.d. lavoro agile (Legge 81/2017). Diversamente, mi occuperò di analizzare questo fenomeno digitale partendo da un serie di riflessioni.
Lo smart working costituisce una parola, prima dell’avvento del Coronavirus, parzialmente sconosciuta se non agli addetti ai lavori, che allo stato attuale, ha trovato pieno spazio di diffusione e circolazione nel lessico quotidiano.
Ma, la domanda che dobbiamo porci adesso è la seguente:
Ebbene, il Coronavirus ha fatto esplodere la necessità di flessibilità e adattabilità ad una situazioni di emergenza su scala globale. Le misure coercitive imposte dal Governo hanno determinato un’evidente costrizione della nostra libertà personale, oltre, vistose ripercussioni sulle nostre abitudini personali.
Tali restrizioni, oltre a riflettersi sui nostri stili di vita, hanno determinato necessariamente una rilettura dei nostri processi lavorativi: oggi la nostra abitazione si è trasformata nel nostro luogo di lavoro, il nostro tavolo adibito a svaghi personali si è trasformato nella nostra workstation aziendale.
MA ATTENZIONE, il fatto intrinseco di svolgere la prestazione lavorativa sempre dalla propria abitazione è decisamente distante dai criteri e dai principi su cui si fonda lo smart working.
Il fatto che il lavoratore dipendente svolge la sua attività sempre da casa, avvicina la sua prestazione lavorativa al telelavoro (c.d. homeworking), altra soluzione esistente da tempo, ma soggetta a regole differenti. Il lavoro agile, difatti, dovrebbe prevedere l’alternanza dell’attività svolta dall’azienda con quella svolta in altri luoghi, secondo le modalità concordate tra lavoratore dipendente e datore di lavoro. Ma è chiaro che, in fase emergenziale, l’attività può essere svolta interamente anche dall’abitazione del dipendente.
Dopo aver fatto questo preambolo possiamo rispondere alla domanda iniziale:
Coma appare evidente, lo smart working si distanzia nettamente dal telelavoro poiché fonda le sua ragion d’essere sui principi di flessibilità e autonomia (libera scelta da parte del lavoratore di luoghi e orari di lavoro), distaccandosi conseguentemente dal rigido ed ingessato perimetro normativo dove risulta confinato il telelavoro.
Un indubbio tratto qualificante di questa filosofia manageriale è la libertà del lavoratore dai tradizionali vincoli di tempo che lo abilitano a scegliere in quale orario della giornata rendere la prestazione. Si tratta, quindi, di una soluzione che offre al dipendente spazi di autonomia nell’organizzazione del suo tempo, in vista del raggiungimento degli obiettivi che gli vengono assegnati avvicinando per certi versi, il lavoratore agile, al confine con quello autonomo.
Tuttavia, è chiaro che questa grande libertà riconosciuta al lavoratore di auto-organizzarsi i tempi di operatività, deve bilanciarsi con l’esercizio del potere direttivo impartito dall’azienda che ovviamente permane, sia chiaro, anche con lo smart working (Es. reperibilità in determinate fasce orarie per coordinare e programmare il lavoro).
Non dimentichiamo che il lavoro agile si colloca pur sempre nella cornice del lavoro subordinato, il cui tratto centrale continua ad essere l’esercizio dei poteri di direzione e controllo aziendale.
Ma questo aspetto (potere di controllo aziendale), non deve sorprenderci e non deve indurci a pensare allo smart working come ad un progetto organizzativo aziendale irrealizzabile. Bisogna pur sempre rammentare che autonomia e flessibilità costituiscono una grande conquista del lavoratore moderno, finalmente libero dalle catene dei tradizionali criteri aziendali di gestione della forza-lavoro che lo tenevano, in precedenza, saldamente imprigionato alla sua postazione.
Questa grande libertà, ovviamente, richiede un giusto prezzo: raggiungimento degli obiettivi richiesti dall’azienda, anche prescindendo dai tradizionali canoni di ore impiegate, e una maggiore presa di coscienza e responsabilizzazione del lavoratore sull’importanza di far parte di una squadra che rema all’unisono verso il raggiungimento di un unico obiettivo.
Lo smart working, quindi, può essere utilizzato come efficace mezzo per ridurre gli spostamenti, limitare il traffico urbano e garantire conseguentemente un risparmio di tempo, danaro e stress, a garanzia di maggiore efficienza e, perché no, riduzione dell’inquinamento globale (c.d. global warming).
2.2. VANTAGGI E CRITICITÀ
VANTAGGI
I vantaggi che derivano dall’implementazione dello smart working nei processi aziendali e organizzativi sono evidenti, tuttavia, l’adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico che deve necessariamente comportare una sostanziale revisione dei processi di lavoro, formazione costante del proprio team e valutazione dell’operato dei propri dipendenti.
Purtroppo, la realtà dei fatti ci dimostra che soltanto alcune grandi imprese (es. Eni, Enel, Tim, Vodafone etc) hanno assorbito, già da anni, nei propri processi produttivi questa nuova cultura aziendale orientata alla valutazione dei risultati diretti al raggiungimento degli obiettivi come leva di benessere del personale.
CRITICITÀ
Non dobbiamo dimenticare che molte realtà organizzative/aziendali sono ancora fermamente ancorate al classico sistema del “timbro del cartellino“, sinonimo di efficienza e garanzia di risultato.
Tale metodologia, tuttavia, non vuole necessariamente tradursi in garanzia di produzione e obiettivi in quanto, il controllo in entrante del lavoratore il più delle volte viene percepito da quest’ultimo, come scarsa fiducia nei suoi confronti da parte del datore di lavoro.
2. TRASFORMAZIONE DIGITALE: LAVORI IN CORSO
Il tessuto connettivo economico nazionale è composto, per la maggiore percentuale, da piccole e medie imprese che rappresentano il motore che traina e spinge l’economia del nostro paese.
Al netto di questo dato rilevante, che dimostra come risulta composta l’attività produttiva italiana, emerge un altro dato non certamente gratificante.
È inutile girarci intorno, il processo di digitalizzazione delle PMI rappresenta, allo stato attuale, un punto dolente sul quale le piccole e medie imprese italiane (compreso i liberi professionisti) faticano ad adeguarsi rispetto alla media europea.
- Al livello teorico, le imprese percepiscono l’importanza di digitalizzare i processi produttivi, spinte forse anche dal trend attuato da molte aziende di aumentare il proprio business, con misure più innovative che possano attirare maggiore clientela e fasce d’età più inclini all’utilizzo della tecnologia;
- Dal punto di vista pratico, tuttavia, le buone intenzioni non trovano terreno fertile, se non in alcuni ristretti scenari produttivi.
Inoltre, bisogna specificare che molte realtà aziendali, pur valutando positivamente l’ausilio della tecnologia nei processi organizzativi, non stanziano una quantità di risorse sufficienti, in grado di costruire una struttura autosufficiente e autonoma. In molti casi, l’ICT e l’attività digitale è affidata a società esterne (con evidenti problemi di costi e logistica).
4. CONCLUSIONI
Se la situazione di emergenza sanitaria ci ha imposto di adattare i nostri processi lavorativi a nuovi e inesplorati scenari tecnologici, tale circostanza non ci deve indurre a pensare che il lavoro svolto da casa possa essere minimamente paragonato allo smart working.
Per intenderci: non basta restare a casa per essere smart.
La quarantena forzata, tuttavia, ci ha avvicinato ad una filosofia manageriale e aziendale che molti non conoscevano, o che conoscevano in via del tutto marginale.
Questa fase di temporanea stasi dei processi produttivi dev’essere utilizzata, pertanto, in modo proficuo da parte delle aziende che ancora non hanno compreso l’importanza di investire risorse adeguate nell’informatizzazione dei processi organizzativi dell’impresa.
Ricordiamo e ribadiamo brevemente quali sono i capisaldi dello smart working:
- lascia libero il lavoratore e azienda di decidere come preferiscono organizzarsi, a patto che ci sia un reciproco vantaggio;
- il lavoratore risparmia tempo e costi di viaggio (- Km/-Co2) e il tempo guadagnato viene reinvestito nel lavoro;
- l’azienda risparmia e vede ridursi considerevolmente le richieste di permessi e i giorni in malattia;
- aumenta la produttività.
APPROFONDIMENTI E CURIOSITÀ SUL FUTURISMO
Il richiamo al futurismo non è casuale
L’avvento del futurismo, inteso come movimento culturale e artistico d’avanguardia, nato in Italia nel primo decennio del Novecento, era destinato a lasciare il segno nelle linee temporali della storia, fino ad arrivare persino ai giorni nostri.
Infatti, restiamo fortemente legati, anche se inconsapevolmente, ai concetti fondanti del movimento futurista che contraddistinguono tutt’ora l’età contemporanea.
Quali sono i punti programmatici su cui si basava il Manifesto di fondazione del Futurismo?
Il futurismo nacque fondamentalmente:
- con la necessità di abbattere in ambito letterario, filosofico e artistico qualsiasi dogmatismo legato al passato;
- con un dichiarato fine di “svecchiamento”, distruzione delle fondamenta della società borghese;
- e soprattutto, celebrazione generosa di ogni forma creativa rivolta al futuro, sostenuta dalla fiducia nel progresso e nelle nuove tecnologie, dall’esaltazione della nuova dimensione metropolitana, della macchina e della velocità, dall’intuizione del dinamismo universale derivata dalla divulgazione delle nuove scoperte scientifiche (trasmissione elettrodinamica, relatività einsteiniana, raggi X);
Tuttavia, al netto dei principi costitutivi di questo importante movimento artistico d’avanguardia, il futurismo si impose, sin da subito, sullo scenario nazionale soprattutto in ambito ideologico-politico, con effetti da cui derivarono e derivano tutt’ora aspre contestazioni per il forte legame che univa il futurismo con il fascismo.
Fin dai suoi esordi, infatti, il futurismo assunse gli aspetti di un manifesto di propaganda politica incentrata su valori forti e incisivi e anche molto discutibili: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore…” – così esordiva il punto 9) del Manifesto di fondazione del futurismo su “Le Figaro”, il 20 febbraio 1909, ad opera del suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti.
Ma quale fu la vera relazione tra l’avanguardia e il regime fascista?
In realtà, non ci furono dei veri e propri legami strutturali fra il movimento futurista e il regime fascista presieduto da Benito Mussolini.
Basti pensare che, il futurismo, nato nel 1909, precede il fascismo di dieci anni esatti.
Come ogni movimento rivoluzionario che si rispetti, il futurismo doveva necessariamente creare una netta frattura con la tradizione classica generando così, una vibrante sferzata contro la staticità che caratterizzava la massa, anche promuovendo ideali scomodi e dichiaratamente reazionari.
Ma, si badi, si trattava pur sempre di un programma politico puramente ideologico.
Più che altro, i futuristi avevano nostalgia del fascismo “rivoluzionario” del 1919, il “diciannovismo”, che, almeno in parte, sembrava voler realizzare il loro programma politico, ma non erano certamente interessati a quello di regime.
L’obiettivo principale dei futurismo era iniettare in un sistema ingessato e legato ad un’apatica burocrazia, un pensiero dinamico che trovasse nel progresso tecnologico, il culto delle velocità, l’amore per le soluzioni violente, il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l’appello fascinatore alle medesime, i suoi cavalli di battaglia.
Il fascismo, dal canto suo, affondava le sue radici programmatiche nella gerarchia, tradizione, classicità, ossequio all’autorità; il futurismo è tutto l’opposto di questo: è protesta contro la tradizione, è lotta contro i musei, contro il classicismo, contro le glorie scolastiche e universitarie.
È innegabile che ci fosse un legame di amicizia tra Marinetti e il duce, ma tale rapporto si era instaurato ben prima dell’ascesa del fascismo. Inoltre, l’adesione al regime, come accadeva per altri illustri personaggi dell’epoca (si pensi a Guglielmo Marconi) era puramente strumentale e serviva fondamentalmente a Marinetti per risolvere, di tanto in tanto, qualche problema di carattere culturale, ma non condivideva certamente la sua politica, cercava solo un terreno fertile per la sua arte.
Concludendo, è necessario cancellare dal futurismo questa onta, questa macchia indelebile e riconoscere al movimento creato da Marinetti, il merito di essere riconosciuto come il più importante movimento artistico d’avanguardia che il nostro paese abbia generato nel secolo XX.